Il seicento nel Cilento fu caratterizzato da maggiori oneri a carico dei contadini, costretti a lavorare in condizioni disumane a servizio dei signori locali e a pagare tasse di ogni genere. In aggiunta, gravava su di loro anche il tempo inclemente: numerose furono infatti le carestie determinate da inverni rigidi ed estati piovose. Alla carestia si aggiunse poi la peste del 1656.
In una relazione del vescovo Carafa sulla situazione della diocesi dopo la peste del 1656, si rilevava come li territori non si coltivino più, le case non si locano, li censuari et rendenti sono morti (…) tutti gli effetti ecclesiastici erano dismessi. Morirono più della metà degli ecclesiastici: 420 morti et ne sono al presente da duecentocinquanta, da cui l’impossibilità a celebrare il culto. Nella relazione del vescovo Carafa sulla situazione della parrocchia di San Giovanni Battista a Cardile si evidenziava che i preti erano morti per peste e il culto veniva esercitato da un prete forastiero di nome D. Honofrio Del Mastro. Anche la popolazione di Cardile venne ulteriormente decimata: Cardile, a differenza di altri centri, ebbe un numero di vittime inferiori alla media; infatti, la popolazione, che nel 1648 era composta da 51 fuochi (circa 357 abitanti), dopo il 1656 passò a 30 fuochi (circa 210 abitanti), mentre nella vicina Gioi, gli abitanti si ridussero di oltre 2/3. Di qui la forte devozione dei Cardilesi a San Rocco, protettore degli appestati. Si tramanda dalle persone più anziane che, in loc. “Visciglina”, vennero alla luce delle strutture tombali, costruite dagli appestati stessi, i quali, al fine di non restare insepolti, ai primi sintomi del male, si adagiavano in tali strutture in attesa della morte; inoltre, ancora oggi, gli anziani tramandano il ricordo di come anche in località “Quattro Venti”,nei pressi della Chiesa, gli appestati si adagiavano dentro delle fosse, in attesa della morte, portando con sé un po’ di pane e un po’ d’acqua. Quanto tramandato è confermato anche dalle visite pastorali del periodo dalle quali emerge come dopo la peste del 1656 i morti non vennero più seppelliti nella Chiesa, ma esternamente ad essa; infatti, nella visita pastorale del vicario De Pace del 1698 non si annotava alcuna sepoltura nella Chiesa, ma l’esistenza di un cimitero, dal quale si accedeva al giardino del locale barone e da questo al palazzo baronale.
La cappella di San Rocco, edificata per devozione dagli abitanti di Cardile nel periodo della peste, venne collocata alla fine del paese, proprio a simboleggiare la protezione di San Rocco su Cardile dal morbo mortifero. La cappella di patronato dell’università di Cardile, nella visita pastorale del 1736, risultava da poco restaurata; nella visita pastorale del 1745 venne ordinato all’università di restaurare il soffitto cadente collocando sull’altare un baldacchino e interdicendo la cappella dalle celebrazioni delle messe.
Nella cappella vi era una tela di san Rocco e l’altare, provvisto di ogni suppellettile, aveva un onere di 12 messe all’anno celebrate dal clero. Nella visita pastorale del 1762 veniva registrata una statua lignea e un legato a favore della cappella da parte di Lorenzo De Marco della Terra di Gioi per la rendita derivante da una vigna situata ubi dicitur la Ferrara.
Il 9 giugno 1890 il vicario faraneo di Gioi, canonico Giovanni Speranza, delegato alla visita da Mons. Maglione, annotò una reliquia del santo munita di autentica e incastonata in un ostensorio d’argento.
Per il passato, come ancora oggi, San Rocco elargisce al popolo invocante le sue grazie. Negli anni quaranta fu portato in processione e invocato il suo aiuto a causa della continua morte dei bambini per il vaiolo, come pure negli anni ’50 fu invocato contro una malattia mortifera che attaccava i denti dei bambini, mentre la morte di bambini nel periodo natalizio del 1894 fece invocare l’aiuto del Santo, il quale con il suo intervento fermò la moria di bimbi, tanto che ancora oggi i cardilesi portano in processione la statua di San Rocco il 29 dicembre in ricordo di tale grazia.
Infine, è da ricordare come in passato la statua veniva portata in processione in segno di ringraziamento per la raccolta abbondante di castagne; la processione si svolgeva la terza domenica di ottobre, durante il periodo delle castagne, tanto da essere ricordato come “Santo Rocco re li vaddani”.
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